BAMBINA DELLA FORZA

 

 

di Jinna

(Jinna@sabermail.com)

 

 

Il Tempio.

A volte penso che i suoi muri respirino. E traspirino verità. Aule immerse in una quiete senza tempo, dove anche l’eco sembra piegarsi a leggi misteriose e sfuggenti.

È quanto di più simile io abbia ad una casa…

 

Sarà una vita dura. Senza rimorso, senza rimpianto. Ma anche i Jedi hanno i loro rimorsi. Sono le vittime innocenti delle reazioni a catena innescate da qualche Cavaliere nel corso di una missione. O degli abomini perpetrati da rinnegati dell’Ordine. ‘Bambini della Forza’. Così ci chiamano i denigratori, o forse solo gli ignoranti. Portati al Tempio quando la fatalità ha reciso ogni radice. Quando non c’è più posto per noi al di fuori di queste mura. Quando la responsabile e compassionevole protezione dei Jedi si fa surrogato del caldo abbraccio materno.

Eppure non c’è odio, c’è la Forza.

No. Non odiamo i Cavalieri. Il Caso gioca continuamente a dadi con la sorte delle creature della galassia. Noi siamo solo una giocata persa.

Ma forse, sepolto nei nostri cuori, c’è odio per la Forza. In noi, abusivi del Tempio.

Presenti, ma non partecipi del misterioso cerchio simbiotico che abbraccia tutti i legittimi abitanti di questi luoghi: Maestri, Padawan, Guaritori, Cavalieri, perfino i più giovani Iniziati della nursery.

Al raggiungimento dell’età dell’indipendenza siamo liberi di lasciare il Tempio per cercare una via. Una via che sia Nostra. Non ci manca niente: educazione, conoscenze specialistiche, persino qualche elemento di autodifesa.

Ma quasi nessuno sceglie la ‘libertà’.

Continuiamo a dipendere da questa fonte di sapere, serenità e potere senza riuscire mai a saziare la nostra sete. Perché non sappiamo come attingervi. E non lo sapremo mai.

Sì, sembra che anche i muri respirino. Ma io mi sento soffocare.

 

§

 

Quindici anni vissuti nel Tempio. Non ricordo quale drammatico evento mi abbia aperto le sue porte. Né a chi appartenga la mano che la Forza ha guidato verso quel piccolo corpo martoriato. Nessuno ha mai osato ferirmi con la lama dei ricordi. Meglio così. Il laccio della riconoscenza o della dipendenza può finire per strangolare. E qui nemmeno il più promettente degli Iniziati può vantare legami esclusivi o privilegiati. Violerebbe lo spirito comunitario che informa la vita del Tempio. Sì, forse è meglio così…

 

Quindici anni di studio. Feroce, sudato, smodato. Una disperata rincorsa ad un sapere che sapevo non avrei mai trovato sui database. Ansia di gratificare quei Maestri che sembravano comunicare con gli altri, gli ‘eletti’, con un semplice sguardo. ‘Sentivo’ i loro dialoghi silenziosi con incantata frustrazione… un sordo che tenta di interpretare dal movimento delle labbra una lingua a lui sconosciuta.

 

Quindici anni di patetici esperimenti di telecinesi, condotti con vergogna al riparo della luce diurna, quando la notte recava sospiri di sonno e di sogni.

Invidia. Come potrei negarlo? Invidia nei confronti di bambini con cui condividevo i giochi ma non la sorte. Giovanissime creature con un senso adulto del loro destino. Per me, bambina della Forza, il destino sembrava aver già mostrato tutte le carte.

E ira. Incontrollabili esplosioni. Quasi mai censurate, a dir il vero. Tollerate con un dispiego impressionante di pazienza Jedi.

Evidentemente le mie spalle non erano gravate dalla responsabilità che comportava una piena padronanza della Forza. Né una mia caduta nel Lato Oscuro avrebbe potuto comprometterne l’equilibrio.

 

“Grande rabbia in te. Ma la tua sofferenza essa non placherà. A lungo io ti ho osservato. Un grande destino tu persegui. Ma pronta sei ad abbracciarlo?”

Quella volta ero riuscita a scomodare il venerabile Maestro Yoda. Il naso sanguinante di un giovane Iniziato ne aveva reso necessario l’intervento.

Gli occhi socchiusi, il piccolo elfo mi aveva scrutato con raggelante intensità. Sapevo bene che non avrei potuto celare alla sua sonda mentale l’offesa per l’insulto ricevuto, il senso di colpa per la mia reazione, l’orrore provato alla vista del sangue… Ma quelle erano state le uniche parole pronunciate dal vecchio Maestro. E con un indecifrabile suono gutturale mi aveva congedato. Il mio primo incontro con l’incarnazione della saggezza Jedi si era concluso in un bagno di vergogna. Solo l’oscurità della mia camera aveva smorzato i singhiozzi. E la luce dei miei sogni. Quel luogo della mente in cui avevo imparato a rifugiarmi nei momenti di disperazione. Luogo di illusioni tanto vere da togliere il fiato. Di abbracci tanto caldi da conciliare un sonno dolce e consolatorio.

 

Quindici anni di lavoro al servizio delle necessità quotidiane e della logistica del Tempio. Si tratta di attività che coinvolgono con turnazioni regolari tutti i giovani, senza eccezioni di rango. Uguale fra gli uguali, finalmente. Nel rassettare una camera come nel servire alla mensa; nella cura dei giardini come nell’impegno in cucina. Nulla che i droidi non possano svolgere più che degnamente. Ma è l’esercizio dell’umiltà il fine educativo di questa distribuzione egualitaria del lavoro. Paradossalmente è proprio nello svolgimento di mansioni ripetitive ed elementari che trovo ed ho sempre trovato serenità. Nell’esercizio dell’umiltà smusso le asperità della mia indole e libero la mente. Finisco quasi per farmi apprezzare. Dicono che sia una qualità genetica che emerge a scapito di tutte le intemperanze. Non so se esserne orgogliosa. Ma se di geni si tratta, immagino che io sia in debito di riconoscenza nei confronti di coloro che mi li hanno trasmessi. Perché è grazie a queste qualità che ho trovato la forza di vivere e di continuare a vivere nel Tempio.

 

§

 

LUI è come un vento silenzioso. Avanza negli ampi corridoi nemico di ogni suono. Ma l’aria turbina tutt’intorno. Mi sfiora il viso per poi tornare a danzare sulle pieghe del suo mantello.

È raro vederlo nel Tempio. Appelli alla mediazione e grida d’ingiustizia lo sospingono negli angoli più remoti della galassia.

Appare all’improvviso, come se potesse nascondere la sua figura imponente nelle pieghe dello spazio-tempo. Avanza leggero sulle sue lunghe leve. Si ferma, la mano rassicurante indugia sulla spalla del suo Padawan. Volge leggermente il capo, lo sguardo intento e penetrante, come in ascolto di un sussurro della Forza. Poi torna veloce sul suo passo e sparisce con la soave evanescenza di un angelo delle lune di Iego.

Incrocio le braccia al petto e cerco di fermare il sussulto della tunica sul seno. Fa che non mi senta, fa che non senta le mie emozioni. Ma il ritmico schianto del cuore sembra far vibrare persino i muri.

 

Lo amo dal momento che si è seduto in mezzo noi, bambini della Forza e giovani iniziati, per un ciclo di brevi lezioni sul significato della Forza vivente.

Ero nel Tempio da pochi mesi. Un foglio bianco su cui il tempo doveva riscrivere la storia di una vita. Le mani dei guaritori si erano a lungo soffermate sulle mie ferite, ma solo quelle esterne avevano avuto un decorso benigno. Il vuoto che aveva inghiottito i miei ricordi sembrava aver risucchiato anche le parole, annichilite di fronte a chissà quale orrore indicibile.

Il mutismo si era incrinato col lento trascorrere dei mesi. I nomi riemergevano casualmente, come pomice sul mare, e con essi la capacità di associazione e la chiarezza di pensiero.

Avevo ritrovato la voglia di giocare. E attraverso questa la capacità di relazionarmi agli altri bambini. Poi era arrivata la ‘scuola’, le prime lezioni. Ed avevo cominciato ad interagire anche con gli adulti, i Maestri che con serena fermezza si prendevano cura della nostra educazione.

Ma nessuno era come lui. L’avevo capito nel momento stesso in cui aveva messo piede in quell’aula.

C’era stato detto che il Maestro Qui-Gon Jinn, a Coruscant per un periodo di riposo e meditazione, avrebbe tenuto una serie di lezioni ai giovani del Tempio.

La sensazione che associo a quel primo incontro è una sensazione di… completezza. Da quel giorno in poi solo la sua presenza ha potuto suscitarla.

Può amare una bambina di 9 anni? Forse ero semplicemente alla ricerca di una figura paterna persa nelle nebbie della mia memoria. Ma quegli occhi cangianti nei toni del grigio e dell’azzurro sembravano avere le risposte che cercavo. O rendevano vane le mie domande. Tutto in lui mi suggeriva sicurezza e protezione. Il suo portamento, il sorriso che imbrigliato sulle labbra si scioglieva nello sguardo, la voce dal tono caldo come un bacio appena sfiorato.

Osservavo i miei compagni, sentivo la loro eccitazione. Sapevo cosa sognavano, a cosa aspiravano. Qui-Gon Jinn era un Maestro senza apprendista. Forse uno di loro lo sarebbe diventato.

Per la prima volta dal mio arrivo al Tempio prendevo coscienza della mia diversità e di tutto quello che mi avrebbe precluso.

 

§

 

Quindici anni di amore celato, combattuto, umiliato, disperato. Ma indomito. Cresciuto insieme alla bambina che ne aveva docilmente seguito il richiamo. Alimentato dagli avventati slanci adolescenziali. Infiammato dalla scoperta del corpo e delle sue laceranti pulsioni. Suggellato dal sopraggiungere della maturità con il suo doloroso carico di speranze infrante.

Lunghe attese di un suo ritorno dalle missioni. Quando la paura di non vederlo tornare cedeva il passo a quella di essere vista, scoperta, derisa.

Quanti sguardi furtivi, momenti rubati. Ed il dolore vivo della ‘mancanza’. La mancanza del suo abbraccio, dell’avvolgente modularsi della sua voce. La mancanza di lui.

Col solo conforto dell’oscurità della mia camera e della luce ipnotica dei miei sogni.

 

Ho visto Qui-Gon combattere e sconfiggere i suoi fantasmi, ogni battaglia affrontata un segno in più a ricordarla sul viso. L’ho visto scegliere un nuovo Padawan, Obi-Wan Kenobi, un’espressione diversa e indefinibile illuminargli lo sguardo. Maestro e apprendista, due note di una stessa melodia: rimango ancora incantata da questa… perfezione. È come se la Forza proietti nei loro gesti il suo senso profondo di pace e bellezza.

L’ho visto andare e tornare, e scandire con il suo incessante errare il ritmo delle mie maree emotive.

Ma poche volte ho potuto avvicinarmi a lui così tanto da sentirne il profumo della pelle ed il calore del respiro…

 

…Quella sera ero di turno ai tavoli della mensa. Qui-Gon, rientrato da una missione durata più di un anno, era seduto di fronte alla grande vetrata di transparisteel. Parlava sommessamente col suo apprendista, lo sguardo rivolto verso le luci della città senza fine.

Con la complicità di Ti-eela, una ‘bambina della Forza’ dalle dolci fattezze Twi’lek, ero riuscita a farmi strada sino ai fornelli. I ‘geni del focolare’ si erano prontamente messi all’opera insieme al più poderoso apporto di adrenalina che il mio corpo avesse mai prodotto. Ed il risultato non si era fatto attendere.

Evitando di incrociare lo sguardo dei miei due ospiti avevo servito loro il pasto. Il profumo invitante e le guarnizioni fantasiose contrastavano con la consueta monotonia delle pietanze della mensa. Il tempo di appoggiare i piatti sul tavolo e già avevo trovato rifugio in cucina. Sotto lo sguardo perplesso di Ti-eela mi ero raggomitolata dietro il piano da lavoro, le emozioni disperse intorno a me come petali scossi dal vento.

Lo stridulo rimprovero della twi’lek mi aveva richiamato ai doveri di servizio.

E adesso con quale coraggio mi faccio vedere da quei due?

Avevo cercato di temporeggiare sperando che lasciassero il tavolo prima che la mia presenza fosse richiesta in quell’area della mensa. Ma entrambi sembravano indugiare in una tranquilla conversazione.

Dannazione Qui-Gon, non farmi questo!

Lentamente, i tavoli adiacenti alla grande vetrata si svuotavano dei loro occupanti. Ti-eela aspettava davanti alla lavapiatti con le braccia incrociate, i due lunghi ‘lekku’ in preda a spasmi nervosi.

OK, ho capito, vado. Vado.

Con aria afflitta mi ero trascinata fino ai tavoli da pulire. Qui-Gon era intento a sbocconcellare un pezzo di pane, i gomiti sul tavolo, l’espressione concentrata.

“Padawan, non mi ricordavo che si mangiasse così bene alla mensa”

Obi-Wan si era limitato ad annuire, la bocca piena e lo sguardo fisso sul piatto.

“Sì. È senza dubbio il miglior pasto da anni a questa parte”

Due occhi color acciaio dardeggiavano nella mia direzione, la loro intensità addolcita da un’espressione divertita… Una frazione di secondo e le stoviglie che avevo raccolto sugli altri tavoli finivano con un fracasso vergognoso a terra. China sul pavimento, le mani scosse da un tremore incontrollabile, avrei voluto seppellirmi sotto i frammenti della mia idiozia.

Ma in quel momento, inaspettata, l’elettricità del suo tocco aveva investito il mio braccio. Il primo, indimenticabile contatto.

“Lascia, Noor. Hai già fatto tanto oggi”

Non ricordo altro dell’accaduto se non una vaga reminiscenza di Qui-Gon Jinn che, ginocchia a terra, si dava da fare per ripulire.

Nella confusione più totale che attanagliava la mia mente continuava ad echeggiare un’unica, sensata realizzazione: lui ricordava il mio nome.  

 

Conosco gli angoli più nascosti del Tempio. Credo di averne spolverato ogni singolo centimetro. E rassettato la maggior parte degli alloggi e degli ambienti comuni. Amo il profumo di pulito. La fragranza di una stanza bagnata dall’acqua e dal sole…

 

… Il suo appartamento quasi intimidiva tanta era la semplicità dell’arredo e l’ordine che vi regnava.

Era la prima volta che vi entravo. E non sapevo dove poggiare lo sguardo, combattuta fra una vorace curiosità ed il timore d’intromettermi nella sua privacy.

Prima il dovere.

Avevo ripulito con cura amorevole i piani polverosi del mobilio. Lucidato sanitari e pavimenti. Lasciato filtrare aria fresca attraverso i pannelli di transparisteel. Avevo cambiato le lenzuola del letto cercando di reprimere il desiderio struggente di stendermi e abbracciarne il guanciale.

E questa?

Lo sguardo era caduto su una tunica color panna appoggiata allo schienale della sedia al lato del letto. L’avevo raccolta, esaminata centimetro per centimetro. Un lungo capello castano era rimasto impigliato alle trame del tessuto. Un suo capello. Senza pensarci due volte l’avevo nascosto fra le pieghe di un fazzoletto e riposto nel borsello in cui tenevo i codici d’accesso delle stanze. Poi, incapace di resistere, avevo affondato il viso nella tunica, respirandone avidamente l’odore. Il profumo della sua pelle ancora indugiava sulla stoffa…

“Posso aiutarti?”

LUI!

Era sulla soglia, un sacco in spalla e l’aria dimessa di chi non dormiva da qualche giorno.

“Io, ecco, mi avevano detto che saresti tornato in serata… Ma è tutto in ordine. Ho pulito, cambiato la biancheria. L’appartamento è pronto”

Si era limitato ad annuire. Poi il suo sguardo era scivolato sulla tunica che ancora stringevo fra le braccia.

“Questa… immagino che sia da pulire. Vado, e torno. La riporto come nuova”

 “Grazie, ma non è necessario. Posso farlo io”

Tutto sommato un modo molto elegante di sbattermi fuori.

“A ripensarci… Credo di avere anche qualche altra cosa da lavare e… ho veramente bisogno di riposo. Forse è ora che una mano più delicata della mia si prenda cura di quegli indumenti”

Passandosi una mano fra i capelli guardava perplesso il sacco abbandonato ai suoi piedi.

Mi stai chiedendo di farti il bucato Maestro?

“Sono qui per questo. VOGLIO dire: oggi sono di turno. Ci penso io. Non dovrei metterci  più di tanto”

“Bene. Ah, se devi entrare, usa il tuo codice. Potrei essere in… meditazione”

Non ero riuscita a trattenere un sorriso. Poi avevo raccolto i panni e con passo spedito mi ero diretta alla porta.

“Noor?”

“Sì?”

“Grazie”

Al mio ritorno mi aveva accolto il suono di un respiro profondo e cadenzato. Mi ero cautamente affacciata sulla soglia della camera da letto per contemplare quella figura dormiente, distesa su di un fianco ed abbracciata al suo cuscino…

 

Stesa sul mio letto guardavo il sottile filo castano ‘trafugato’ dall’alloggio di Qui-Gon. Mi divertivo ad osservarne i riflessi cangianti col mutare della luce. Lentamente un’idea balzana si era fatta strada nella mia mente. Avevo recuperato in un vecchio cofanetto la ciocca di capelli che conservavo sin dai primi giorni della mia permanenza al Tempio, quando la medicazioni avevano reso necessaria la rasatura della testa. L’unica trama sottile che mi legava ai nodi insolvibili del passato.

Unendo il capello del Maestro ai miei, avevo ricavato una sottile treccia fermata ad un estremità con un cordoncino blu e all’altra con una clip. Poi l’avevo fissata dietro l’orecchio destro ed ero corsa allo specchio.

Niente male, ‘Padawan Noor’.

L’immagine che vedevo riflessa suscitava in me un senso di pace, di appartenenza. E nonostante capissi quanto patetico fosse questo illusorio legame, non riuscivo a scacciare dal cuore la sensazione che fosse in qualche modo… giusto.

 

Avevo esibito la mia nuova acconciatura senza destare particolare interesse, al di là di qualche reazione ironica o divertita.

Finché non mi ero imbattuta in Qui-Gon Jinn.

L’avevo incrociato mentre passeggiava in compagnia del suo apprendista lungo i viali dei giardini. Un lieve cenno di saluto, uno sguardo fugace...

“Padawan, un momento”

Era tornato sui propri passi per poi tagliarmi la strada con tutta l’imponenza della sua figura. Aveva fatto delicatamente scivolare la mia treccia fra indice e pollice. Poi la lama di ghiaccio del suo sguardo si era abbattuta implacabile sul mio viso.

“Questo è il simbolo di un legame profondo e di un serio impegno di vita. Non è moda. O il vezzo di una ragazzina che cerca di apparire quello che NON è”

Il punto di non ritorno. La mia rabbia era esplosa come una supernova.

“Non hai capito niente!”

Le lacrime come rivoli d’acido sulle mie guance.

”Pensi di sapere tutto Maestro Jedi? Tu NON sai niente. Ci degni della tua presenza quando più ti fa comodo. Fai una bella predica e poi sparisci. Bene, hai avuto la tua dose. Ora vattene. Io NON sono il tuo Padawan”

E per sottolineare la tirata mi ero strappata la treccia dai capelli e l’avevo gettata ai suoi piedi.

Due mani possenti si erano allora strette intorno alle mie spalle. A malapena riuscivo a sostenere quello sguardo cupo come il cielo in tempesta.

L’immagine di uno schiaffo in pieno viso si era improvvisamente materializzata nella mia mente. Stupore. MAI in tutti quegli anni al Tempio avevo subito una simile intrusione nella mia psiche.

Il suo sguardo aveva continuato a bruciare per qualche istante poi la morsa si era allentata. Gli occhi chiusi a recuperare una parvenza di controllo, la voce quasi un sussurro.

“È quello che cercavo di spiegarti”

Dopo aver indietreggiato di qualche passo ero corsa via, lasciando per terra insieme alla treccia il più devastante senso di sconfitta che avessi mai provato.

 

§

 

Buio. Denso, irrespirabile. Arrivo a dubitare che la mia coscienza risieda in un corpo.

“Non mi seguire”

La sua voce perfora la cortina ovattata.

Un pallido riflesso guizza sui suoi occhi. Riflesso? Non c’è luce qui.

Cerco di avvicinarmi. Il flebile baluginare di quello sguardo è come un faro nel mare d’angoscia.

“Noor vattene. Salvati”

Da cosa? Non capisco. Perché non riesco più a vederti?

Una luce rossastra fende l’oscurità. C’è qualcosa di malevolo nel modo in cui s’irradia.

“Corri Noor. Nasconditi”

Una dolorosa necessità brucia nelle sue parole. DEVO salvarmi. Corro. Il perverso ronzio di una spada laser giunge alle mie orecchie.

Nooooo!

Corro. Non posso fermarmi. Mi sembra di vedere una stella. No, non è una stella è un pianeta. Risplende di un verde smeraldo. Come l’arma Jedi di Qui-Gon…

 

Un incubo. Solo un incubo. Non è successo niente. Devo smetterla di pensare a lui in questo modo. Sto impazzendo.

Mi alzo dal letto, le gambe ancora tremanti per la folle fuga onirica. Ho bisogno di rinfrescarmi. Sono madida di sudore. No… Non è sudore. Guardo terrorizzata il mio stomaco. Una larga chiazza di sangue impregna la mia tunica. Devo essermi ferita nel sonno. Sì, è così. Mi spoglio. Ripulisco istericamente il ventre. Ma NON c’è ferita. Né graffi o abrasioni. Anche la tunica è di nuovo linda. Mi accuccio per terra, la testa fra le mani. Sto davvero impazzendo. 

 

“Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi sono tornati dalla missione su Naboo. Hanno appena fatto rapporto al Consiglio”.

Ti-eela mi guarda con aria preoccupata, devo avere un aspetto inenarrabile.

“Volevo solo dirtelo, ecco”

“Come lo hai saputo?”

“Oh, le solite fonti bene informate”

Abbozza un sorriso ma è solo un momento. La sua espressione torna ad accigliarsi.

“Stai bene Noor?”

“Sì. Ho solo riposato male. Non ti preoccupare”

“Allora datti una sistemata e vai a fare una bella passeggiata nell’ala est. Mi sbaglio o qualcuno di mia conoscenza deve ancora delle scuse ad un venerabile Maestro Jedi?”

Mi strizza l’occhio, poi esce dal mio alloggio facendo ondeggiare maliziosamente i due lunghi tentacoli occipitali.

No Ti-eela, non è più tempo di passeggiate.

 

Mi fermo davanti all’ingresso dell’appartamento di Qui-Gon. Il respiro spezzato. Non faccio in tempo ad azionare l’avvisatore elettronico, che la porta si apre. Un ronzio sommesso ne accompagna lo scorrimento.

“Entra”

È in piedi davanti alla finestra, le braccia conserte. La luce piena del mezzogiorno ritaglia la sua figura su un accecante sfondo dorato. Non accenna a voltarsi. I capelli riposano morbidamente sulle possenti spalle.

“Obi-Wan è qui?”

“No, in giro con alcuni amici del Tempio”

Mi guardo intorno, cercando uno spunto. Non so proprio da dove cominciare.

Cosa ci faccio qui?

L’idea di una veloce ritirata si fa strada nella mia mente.

“Cosa ti turba, Noor?”

“Un sogno, Maestro”

“Un… sogno?”

Volge lievemente il capo alla sua sinistra. Intravedo uno spicchio di viso pallido, tirato.

“Sì. Mi sento così stupida a parlartene… Ascolta, non so nulla di sogni premonitori, al massimo posso illuminarti sulla relazione fra sonno agitato e cattiva digestione”

Mi lascio scappare un sorriso amaro.

“Ma questa volta è diverso. Sonda pure i miei ricordi. NON era semplicemente un sogno. Io… l’ho visto.

“Cos’è che hai visto?”

“Una qualche… minaccia. Oscura, indefinibile. Ne venivi sopraffatto. E buio, angoscia, una lama rossa come sangue…”

Stento a controllare il tremore della mia voce.

“Ho paura. Ho paura che possa accadere”

Si volta di scatto, lo sguardo penetrante. Ne avverto quasi l’onda d’urto.

Rimango inchiodata a quegli occhi per un’eternità, le mani sulle labbra nel timore che qualche altra ammissione possa sfuggirmi di bocca.

“Perché ti preoccupi per me? Non mi sembra affatto coerente con i sentimenti che hai espresso nel nostro ultimo… incontro”

Non ha dimenticato.

“Io non mi... Senti, mi dispiace di essere stata così... rude? Mi dispiace davvero. Se solo tu sapessi...”

M’interrompo. Cerco di raccogliere le idee. Ho l’impressione di non riuscire a controllare la conversazione ma di esserne piuttosto controllata.

“Ma questo non ha niente a che fare col motivo per cui sono qui. Sentivo di doverti avvertire”

Abbassa lo sguardo, come a seguire la traccia misteriosa dei suoi pensieri. Scuote la testa. Poi i suoi occhi tornano a braccarmi, scivolando con studiata lentezza sulla mia figura. Avanza di alcuni passi: misurati ma incalzanti.

“Un atto dovuto, insomma”

“Da un certo punto di vista…”

Si ferma. Una luce selvaggia gli invade gli occhi.

“Basta giocare Noor”

“Co… cosa?”

“Basta giocare”

 

Come un vento impetuoso spazza via la distanza che ci separa. Mi stringe a sé, un braccio circonda la vita, la mano rimasta libera afferra la nuca. Immerge le sue labbra nelle mie, una leggera ma ostinata pressione. Mi arrendo alla sua intrusione. Sapore d’uomo: dolce, amaro, speziato. Ho bisogno d’aria…

Tremo, la fronte appoggiata al suo mento. Sento il suo respiro affannato, il vano sforzo di regolarizzarlo.

“Pensi che sia stato facile per me Noor? Percepire le tue emozioni… non sapere come gestirle. In tutti questi anni ho avvertito incessantemente il tuo richiamo. Persino in missione, lontano dal Tempio, ho creduto di sentirne l’eco”

“Tu sapevi”

“Le emozioni che proiettavi erano talvolta così intense che ho spesso temuto potessero irrompere nella sala del Consiglio”

Sorride, è la prima volta che glielo vedo fare così apertamente, poi distende un mano sulla mia guancia e col pollice l’accarezza leggermente.

“Ti senti violata nella tua intimità?”

“Io non so cosa sentire”

“Vuoi che ti aiuti?”

Lo guardo perplessa.

“A fare cosa? A sentire o a capire cosa sento?”

Ride sommessamente.

“A capire. Vuoi?”

Mi limito ad annuire. Non ho più nessuna volontà, se non quella di abbandonarmi.

Torna a scrutarmi, un’espressione seria, concentrata.

Mi legge dentro come fossi un libro aperto…

Le sue parole, appena sussurrate, si confondono con lievi baci sulla fronte, sugli occhi, sulle guance.

“Percepisco trepidazione. E sorpresa ... Forse irritazione…”

Attraverso la pelle sento le sue labbra curvarsi in un sorriso.

“… E desiderio. Da togliere il respiro. No, è più un’ansia di… connessione, di completezza. Ma c’è anche dubbio e… paura”

Per un attimo sembra meditare sulle sue stesse parole.

“Cos’è che vuoi, Noor?”

Il suo sguardo cerca febbrilmente una risposta. Avverto i sottili tentacoli della sua sonda mentale farsi strada fra le mie difese.

“Cosa vuoi TU Qui-Gon Jinn?”

Chiude gli occhi. Mi stringe fino a farmi sparire fra le sue braccia… Non so se sia disperazione o sollievo o imbarazzo. Tutto questo, forse, ed altro.

“Ho cercato per anni di resistere a questa... onda. Ho deliberatamente ignorato il richiamo della Forza perché temevo di confonderne il volere con i desideri naturali di un uomo destinato ad una vita senza legami. Ma mi sbagliavo. Ora è tutto chiaro”

Sfiora il mio mento con un indice sollevandomi delicatamente il viso.

“Guardami Noor. È te che voglio”

Le mie emozioni si polverizzano, un caleidoscopio di cristalli di neve bagnati dal sole.

Mi solleva e mi adagia sul bordo del letto. Il tremore torna a scuotermi fin dentro le ossa. Sembra volermi dire qualcosa ma un lampo di comprensione rende vane le parole. Lascia scorrere le sue dita fra i miei capelli, accenna un lieve movimento ritmico, quasi a cullarmi.

“E questo il problema Noor? La paura di quello che non conosci?”

Sento le guance avvampare e nascondo il viso nel suo abbraccio.

“Sono qui Noor, non sei sola”

Scuote la testa, un riso sommesso echeggia attraverso il largo torace.

“Questo vecchio stregone non merita una simile dedizione”

Scosta il mio viso dal rifugio che lo ha accolto e torna a baciarmi, delicatamente all’inizio, poi con ardore crescente. Le sue labbra tracciano un percorso fino alle aree più sensibili del collo. Si ferma, sento il soffio del suo respiro vicino all’orecchio.

“Sei sicura di volerlo?”

“Sì, Maestro”

Un espressione di divertito rimprovero gli guizza sul viso.

“Noor, io non sono il tuo Maestro”

Colgo la palla al balzo.

“Ed io NON sono il tuo Padawan”

 

Mi conduce con mano ferma sul sentiero primigenio dell’uomo e della donna. Pronto a guidare la mia andatura impacciata, a sostenere ogni passo falso.

Sciolgo i suoi capelli perché si uniscano alla danza delle mani sulla mia pelle. Lo bacio, ogni bacio come fosse l’ultimo.

Il tuo corpo è un inno alla bellezza, amore mio.

Mi apro delicatamente e sboccio come un fiore intorno a lui. E lui si fa uomo in me. Né Jedi, né maestro. Soltanto uomo.

Non c’è più ‘io’, non c’è più ‘tu’. Respiro, pelle, sudore. Non è un sogno. Per un istante esiste solo il ‘noi’. 

Qui-Gon trema, e con lui, il suo sguardo.

Seguimi Noor, lasciati guidare.

L’invito risuona cristallino nella mia mente ma nessuna parola è stata pronunciata.

I ricordi cominciano a fluire. Mi perdo nel loro corso. Regredisco fino ad entrare nei domini dell’inconscio, dove giace la memoria ancestrale del sé…

…Le orecchie mi dolgono. Un’esplosione. Odore acre di fumo. Lamenti si spengono in una cortina che tutto avvolge e confonde. Ho freddo. L’acqua mi gela addosso. No, non è acqua. Salata, come le lacrime… Rossa, come il sangue. Basta! Tirami fuori di qui. Ti prego… ti prego. Mi prendi fra le tue braccia. Ferme, possenti, ma animate da una dolorosa dolcezza. Mi avvolgi. Mi culli. Che strano, questo è il mio primo ricordo di un contatto fisico con un altro essere. L’unico che mi sussurri della pace di una carezza di madre…

 

“È il pianeta Telos quello che vedi. Una sanguinosa guerra civile scatenata dalla sete di potere di Crion e… di suo figlio Xanatos, il mio secondo apprendista. Il mio più grande fallimento. Io ancora non…”

Le parole rimangono sospese. Nemmeno i muri respirano più. Qui-Gon volge lo sguardo verso il grande pannello di transparisteel. Migliaia di veicoli intasano le aereovie di Coruscant: incrociano le loro traiettorie, quasi si toccano. Un istante e sono già lontani, ognuno per la sua strada.

Cerchi delle risposte amore mio? O solo le parole giuste?

Torna a guardarmi. La luce calda del primo pomeriggio conferisce ai suoi occhi una tonalità trasparente.

O sono lacrime?

“Non è niente in confronto a quello che ha fatto a te…”

È appena un sospiro.

Batto ripetutamente le palpebre. Bruciano le lacrime e con esse i ricordi. Il passato allunga le sue spire sul presente. Quella prima carezza si confonde con l’abbraccio di questo momento. Quella rabbia originaria con l’incendio indomabile che da sempre divampa nella mia esistenza. Finalmente intravedo il cerchio degli eventi. L’andare delle cose… e anche della Forza. La sua inesorabilità mi spaventa.

“Quello era stato un giorno di morte. Le centinaia di vittime dopo l’ultimo scontro. La morte di Crion… per mia mano. La morte della fiducia e della speranza dopo che Xanatos si era consegnato al Lato Oscuro. Quando ho trovato il tuo corpo ho pensato di soffocare, sopraffatto da quel senso di morte. Eri immobile, fredda. Gli occhi spalancati, inespressivi. Riuscivo a malapena a sentire la tua presenza nella Forza. Ti ho preso in braccio ed ho cominciato a cullarti finché non hai chiuso gli occhi. Per un attimo ho temuto che…”

Le sue pause trasudano sofferenza.

“Ma non era la fine. Ti eri solo addormentata”

Si gira supino e lascia che io mi distenda sul suo corpo.

“Sei stato tu. Sei sempre stato tu…”

Mi sfiora la schiena con la punta della dita, ma non aggiunge altro.

“Ed anche i miei sogni… anche quelli venivano da te?”

Non è una domanda. Lentamente il puzzle della mia vita comincia a ricomporsi.

“Era il modo più intuitivo di comunicare con una bambina. Proiettavo emozioni tranquillizzanti, immagini consolatorie per scacciare gli incubi che ti tenevano sveglia durante la notte. Che mi tenevano sveglio… Poi è diventata… un’abitudine. Una specie di canale riservato”

Scuoto la testa. Apro gli occhi ed intravedo quel suo lieve sorriso temperato di… pudore? umiltà? divertita consapevolezza?

Una domanda, a cui mai ho dato peso, diventa all’improvviso necessaria, stringente.

“Perché non mi hai detto niente?”

“Immagino che all’inizio non volessi diventare un padre votato alla… latitanza. Poi, col passare degli anni, ho smesso di volere essere un padre e basta”

E quasi a voler sottolineare il concetto percorre con le mani la linea dei miei fianchi, su, fino al seno.

“Mi sento in colpa, Noor. E non per essere responsabile indiretto della distruzione della tua famiglia, dello sconvolgimento della tua vita. Ma perché in tutti questi anni non ho mai smesso di ringraziare la Forza per avermi condotto a te. Per aver gioito della tua presenza nella mia esistenza. Per non essere riuscito a contrastare la voce potente e disperata con cui mi chiamavi. Eppure non riesco a percepire oscurità in questo sentimento. Niente avviene per caso”

Di nuovo quel senso di ineluttabilità…

“Parlami attraverso i sogni Qui-Gon… Ancora una volta”

Si gira su di un fianco, accompagnandomi delicatamente in una posizione più comoda.

“Non ne hai più bisogno Noor, non ne hai più bisogno…”

Il calore del suo abbraccio si fa nido intorno al mio corpo. Guardo Qui-Gon a lungo, finché il peso delle emozioni non si scarica sulle mie palpebre. L’ultima cosa che registro è la traccia sottile di una lacrima sul suo viso.

 

Non mi ha detto niente. Il tramonto l’ha trascinato via assieme all’ultima luce del giorno.  Non ho provato nemmeno a cercarlo. Il Nubian che lo aveva riportato a casa ha dato un addio sfolgorante al cielo notturno di Coruscant. Per qualche oscura ragione so che lui è lassù. Forse ho cominciato anch’io a diffidare delle coincidenze…

Sento freddo. Rabbia. Paura.

È questo che mi lasci Qui-Gon? Il peggior incubo di uno Jedi? L’inferno del Lato Oscuro.

Mi guardo intorno. Forse ho sognato tutto. Se non fosse per la mia pelle che ancora trattiene l’essenza della sua. Per il mio corpo che geme al ricordo del primo abbraccio. E per quella sottile trama di capelli intrecciati che riposa sul suo cuscino accanto ad un holocard.

La riconosco. Come potrei sbagliarmi? Mi lascia senza fiato la realizzazione che lui l’abbia conservata per così tanto tempo. Uomo di mille sorprese. Con mano tremante la sfioro, la tocco, la stringo. Cosa mi hai voluto dire Maestro? Di cosa mi hai voluto parlare? Dell’intreccio dei destini? Dei sentimenti? Delle responsabilità?

 

L’holorecorder attende in standby. Lo attivo, ogni gesto una sofferenza. Non riesco a scacciare un cupo senso di premonizione.

Davanti a me l’immagine spettrale di un uomo di cui fino a qualche ora fa potevo sentire battere il cuore. Le mani riposano all’interno delle larghe falde del mantello, lo sguardo chiaro, determinato anche se venato di un’ombra liquida di malinconia.

Chiudo gli occhi e mi lascio andare al suono della sua voce: “La Forza segue spesso percorsi misteriosi, Noor. Il mio amore per te è uno dei più tortuosi ed esaltanti che io abbia mai intrapreso…”

 

§

 

“Andare via di qui tu devi. Ora. Proteggere il SUO lascito è imperativo. Ed onorarlo. Nuvole scure si addensano all’orizzonte. Sì, nasconditi. Bene sai farlo. Nell’oscurità i tuoi sogni continua a cullare. Che la Forza sia con te”

Il congedo di Yoda. Quello definitivo.

Guardo per un’ultima volta il Tempio, prima che il mio trasporto decolli alla volta di Corellia.

Non riesco che a pensare a Qui-Gon, al vuoto che ha lasciato in questi luoghi. Lui era la mia casa. L’ho capito troppo tardi.

Tu sapevi tutto amore mio. Quella docile sottomissione al volere della Forza. Quella fiducia nella sua guida. Tu sapevi… Ma io non ho la tua fede. E ho paura di non farcela. Forse non sono pronta ad abbracciare il mio destino. Aveva ragione Yoda. Forse non ti ho mai meritato…

Una lacrima, un’altra, ed un’altra ancora. Pensavo di averle già versate tutte.

Mi nascondo in quel luogo di speranze dove tante volte ho fantasticato il suo abbraccio. Un tiepido alito di vento mi danza sui capelli.

Sei tu amore mio? Sei ancora qui con me? O sto solo sognando?

 

Va, Noor Madine. Proteggi ciò che ti ha lasciato. La Forza sarà con te. Qui-Gon sarà con te. Sempre.

 

§

 

Sullust, 36 anni dopo.

A bordo dell’ammiraglia ribelle ‘Home One’

 

Il generale Crix Madine indugia davanti al viewport del suo alloggio, le braccia conserte, lo sguardo perso nelle vastità dello spazio. La flotta dell’Alleanza ribelle si sta radunando in vista dell’attacco alla seconda Morte Nera, attualmente in orbita attorno alla luna boscosa di Endor.

Gli occhi del generale, inondati dai riflessi metallici degli scafi, sono come mare increspato in una notte di luna piena.

È conscio della sproporzione delle forze in campo. Conosce fin troppo bene la potenza di fuoco dell’Impero. Ma non vuole cedere allo sconforto. Non può permetterselo. Non ora.

Riconsidera il suo operato negli ultimi mesi.

Ha messo a punto un piano per distruggere i generatori di scudo che proteggono l’immensa stazione da battaglia. Ha assicurato all’Alleanza la navetta imperiale che dovrà trasportare il commando ribelle sulla superficie della luna verde. Ne ha addestrato personalmente gli uomini…

Una strana calma pervade il suo animo. La quiete prima della tempesta. O forse la serena determinazione di un uomo finalmente in pace con se stesso.

Torna a sedersi alla sua scrivania. Sfiora il sottile bracciale che indossa al polso destro. Un gesto meccanico, abituale. Ma non questa volta.

Si rivolge al passato, Madine, come ha sempre fatto nei momenti campali. Un riflesso naturale per chi è costretto sin dalla nascita a fare i conti con le assenze piuttosto che con le presenze, con i retaggi piuttosto che con le speranze nell’avvenire.

Guarda al percorso che l’ha condotto fin lì. Nulla avviene per caso. Le labbra si inarcano in un sorriso quasi impercettibile.

Ripensa con orrore agli anni nei corpi speciali dell’Impero. La ricerca del sé attraverso l’esperienza dell’inferno. Il grido di dolore delle migliaia di vittime innocenti. La scoperta della voce imperiosa della coscienza. La decisione di disertare, il prezzo pagato. Passione e compassione: retaggio dei suoi genitori.

Per un momento lo sfiora il ricordo di Karreio, la donna amata, abbandonata dopo la diserzione per proteggerla da ritorsioni. La maledizione dell’amore che sacrifica la vicinanza ad un bene superiore: anche questo sembra un retaggio delle sue origini…

Il trillo del comlink lo proietta nel presente.

“Generale Madine, è atteso nella briefing room”

Con deliberata lentezza indossa un paio di guanti neri. La sottile sezione di treccia che gli decora il polso è di nuovo al sicuro da occhi indiscreti.

Adesso guardami padre.

Con andatura decisa si avvia all’uscita. Si ferma. Volge leggermente il capo, lo sguardo intento e penetrante, come in ascolto di un sussurro della Forza. Poi torna veloce sul suo passo…

 

 

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Note dell'autrice:

Tutti i diritti appartengono al ‘Grande Flanellato’. Quello che mi spinge a violare i suoi sacri suoli non è certo il lucro, ma l’amore impossibile e disperato per l’archetipo del genere maschile: Qui-Gon Jinn.

 

Un particolare ringraziamento va alla mia beta reader Eleia (che la Forza la sostenga in questa agghiacciante impresa e alle magie asturiane di Hevia: la sua cornamusa ha ispirato il ‘respiro’ del Tempio.

 

Noor non è un nome inventato ma una parola araba che, come tante altre in quella lingua, fonde dolcezza fonetica e semantica. Il suo significato è: luce.

 

Ogni feedback è ben accetto, ma non troppo ‘maledukat’, per favore ;)